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San Massimiliano Maria Kolbe

Compagno di chi offre la sua vita, di chi si lascia accompagnare da Maria, di chi non trattiene nulla per sé.

È una famiglia molto religiosa quella in cui nasce Rajmund, l’8 gennaio 1894, nella Polonia centrale. Egli entra nel noviziato dei Frati Minori Conventuali, che da poco si sono insediati nella  città di Leopoli, il 4 settembre 1910, assumendo il nome di Massimiliano. Inviato a Roma per proseguire gli studi, il 1° novembre 1914 emette la professione solenne e aggiunge il nome di Maria. La comparsa della tubercolosi, che lo accompagnerà per tutta la vita, non pregiudica il compimento degli studi, né frena le sue iniziative apostoliche, che pone sotto la protezione di Maria Immacolata: il 16 ottobre 1917 dà vita, con altri sei compagni, alla Milizia di Maria Immacolata. Dopo l’ordinazione sacerdotale e le lauree in filosofia e teologia, Massimiliano Maria torna in Polonia dove ottiene il permesso di dedicarsi completamente alla Milizia mariana, pubblicando anche, a partire dal 1922 “Il Cavaliere dell’Immacolata”, una rivista che viene subito diffusa in moltissime copie attraendo molti giovani a quella vita francescana. Grazie ad alcune cospicue donazioni, padre Kolbe inizia la costruzione di un grande convento vicino a Varsavia, la “Città dell’Immacolata”. L’espansione della Milizia è sconcertante, come la tiratura di copie della rivista: in breve tempo diventano milioni. Lo zelo missionario porta Massimiliano Maria anche in Giappone, a Nagasaki, dove vi fonda un convento e avvia la pubblicazione del “Cavaliere dell’Immacolata” in giapponese.

Rientrato in Polonia per essere curato, è nominato padre guardiano della “Città dell’Immacolata” e riprende a diffondere il suo messaggio, inaugurando pure una stazione radio.

Con l’invasione del 1° settembre 1939 i nazisti ordinano lo scioglimento della “Città dell’Immacolata”. Ai religiosi costretti a partire padre Kolbe dice: “Non dimenticate l’amore”. Resta lui con una quarantina di religiosi, che il 19 settembre vengono deportati in Germania, ma che vengono inaspettatamente liberati l’8 dicembre. Tornano dunque al loro convento, affollato di migliaia di rifugiati, ma dopo pochi mesi chi non riesce a scappare viene catturato. Anche padre Kolbe, rifiutata la possibilità di salvarsi, viene rinchiuso in una prigione di Varsavia con altri quattro confratelli.

Il 28 maggio viene trasferito ad Auschwitz. Consumato dai lavori più umilianti, resta testimone radioso di forza e benevolenza. Alla fine di luglio, quando dieci prigionieri vengono destinati al bunker della fame a causa di uno che è riuscito a fuggire, padre Kolbe si offre in sostituzione di uno dei prescelti, padre di famiglia, dichiarando la sua identità di sacerdote cattolico. Gli ultimi giorni di questi uomini vengono trasformati dalla preghiera, che continua sulle loro labbra fino all’ultimo respiro. Il 14 agosto 1941, quattordici giorni dopo, ne restano solo 4 in vita, e tra questi padre Kolbe. Mentre allunga il braccio per l’iniezione di fenolo, decisa per accelerarne la morte, egli sussurra AveMaria.

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IL LIBRO DEL MESE


Shusakū Endō, Il Giapponese di Varsavia e altri racconti, EDB 2018

È proprio padre Kolbe a ispirare Endo, considerato il maggiore romanziere giapponese del secolo scorso, nel comporre lo splendido racconto che dà il titolo al volume. Nel Santo martire, l’autore, convertitosi da giovane al cristianesimo, ritrova il fascino alto e misterioso  di chi offre la vita, tutta la vita.